Parliamo con…. la professoressa Antonella Sorace

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  • 28 Apr 2021
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Sorace-Antonella (1)

In occasione del lancio della nuova newsletter sul Bilinguismo, promossa da alcuni membri del BIL gruppo e di Bilinguismo Conta @ Milano-Bicocca, abbiamo avuto l’onore di parlare con Antonella Sorace, professoressa di linguistica ad Edimburgo nonché fondatrice di Bilingualism Matters, rete internazionale di cui il nostro gruppo fa parte e che ha lo scopo di comunicare la ricerca sul bilinguismo al pubblico. Di seguito trovate l’intervista completa mentre a questo link potete iscrivervi alla newsletter per ricevere aggiornamenti mensili su diversi temi che girano attorno al Bilinguismo.

Qual è stata la motivazione che l’ha spinta a fondare Bilingualism Matters?

Ho fondato Bilingualism Matters perché mi sono resa conto, sia come ricercatore che come madre di bambini bilingui, che la gente sa molto poco sul bilinguismo, e quello che crede di sapere è spesso sbagliato. C’è veramente una mancanza di informazione generale in tutti settori della società, nonostante il bilinguismo sia una realtà ovviamente sempre più presente. Noi ricercatori che ci occupiamo di bilinguismo abbiamo, a mio avviso, la responsabilità di non mantenere la propria ricerca in una torre d’avorio, per così dire, ma di comunicarla alle persone che prendono decisioni sul bilinguismo in continuazione; sui propri figli, sui propri studenti, sui propri pazienti, o sulle politiche linguistiche. Quindi ho deciso di fondare Bilingualism Matters come servizio locale ad Edimburgo, che all’inizio si indirizzava principalmente a genitori ed insegnanti della città. Ben presto però, abbiamo cominciato ad avere richieste in numero crescente da diversi settori, inclusi i logopedisti, i pediatri e gli amministratori politici locali. Poi abbiamo cominciato espanderci anche geograficamente; è da lì che è cominciata la nostra rete internazionale, che in questo momento conta 29 filiali.

Lei non è solo la fondatrice di Bilingualism Matters ma è anche una ricercatrice. Può spiegarci in poche parole che cosa indaga e che ricerche porta avanti col suo lavoro?

Io mi occupo del bilinguismo nel corso della vita. Quando ero studentessa, mi occupavo di acquisizione della seconda lingua negli adulti, poi ho cominciato a lavorare anche sul bilinguismo nei bambini, e più recentemente anche il bilinguismo negli adulti più anziani. Sono linguista di formazione, e mi interessa soprattutto la ricerca interdisciplinare che combina la linguistica con le scienze cognitive. Inoltre, mi occupo dei processi di cambiamento linguistico della lingua madre dovuti all’uso frequente di una seconda lingua, così come dei cosiddetti benefici cognitivi del bilinguismo.

Qual è secondo lei un’importante scoperta scientifica sul bilinguismo che tutti dovrebbero conoscere?

Di sicuro sarebbe importante che le persone sapessero che quando ci sono due lingue a contatto, sia nello stesso cervello, che poi nella comunità bilingue, le lingue cambiano, cioè si influenzano a vicenda. Questo dovrebbe essere compreso in tutti settori. Vi faccio un esempio: noi lavoriamo molto con le lingue di minoranza indigene, che si mantengono solitamente in un contesto di bilinguismo con la lingua maggioritaria (nel nostro caso, l’inglese). Non ci si può aspettare che la lingua di minoranza non cambi. Coloro che pensano che questa “contaminazione” della lingua di minoranza da parte della lingua maggioritaria non debba avvenire hanno aspettative poco realistiche, perché si aspettano che la lingua minoritaria venga parlata come si parlava due generazioni fa. Invece, il cambiamento linguistico è un processo normale e naturale. Se si continua ad imporre questa visione purista di una lingua, si scoraggiano anche le persone giovani, che sono quelle che devono impararla e poi trasmetterla, quando arriva il momento, ai propri figli.

Inoltre, dobbiamo smettere a confrontare i bilingui con i monolingui. L’ho fatto anch’o per molto tempo, quindi sono colpevole, però dovremmo veramente passare oltre, anche perché il monolingue è idealizzato, nel senso che il monolingue che rimane monolingue e non cambia mai non esiste praticamente più. Insomma, il monolingue non esiste e il bilingue non è la somma di due monolingui, quindi dovremmo intanto capire come due lingue a contatto si influenzano. Poi è anche molto interessante guardare all’acquisizione delle lingue tra una generazione all’altra, perché il tipico bambino bilingue ha almeno un genitore che sta attraversando questi processi di cambiamento linguistico. Io, per esempio, ho parlato sempre italiano ai miei figli, però il mio italiano non era lo stesso italiano che ho sentito io quando ero bambina crescendo in Italia da genitori
italiani.

Potrebbe raccontarci qualcosa di più sulla sua esperienza in quanto madre di figli bilingui?

Le esperienze sono tutte diverse, ma vi racconto della mia esperienza personale. I miei figli sono nati ad Edimburgo, e mio marito è americano, però è un poliglotta che sa bene l’italiano, fra altre lingue. All’inizio avevamo questa idea di usare la strategia ‘un genitore-una lingua’: il classico ‘io parlo italiano e lui parla inglese’. Poi però ci siamo resi conto che in effetti potevamo parlare l’italiano come lingua di casa, e dopo sei mesi mio marito è passato anche lui all’italiano. Siccome l’italiano è la lingua di minoranza qui, abbiamo anche cercato di rafforzare l’italiano con babysitter italiane, oltre all’asilo part time in inglese. Abbiamo avuto una successione infinita di babysitter con le più disparate pronunce: così i miei figli hanno imparato a distinguere l’accento milanese da quello siciliano. Quindi abbiamo rafforzato l’italiano il più possibile fino a quando sono andati a scuola, e a quel punto, ovviamente l’inglese è migliorato. All’inizio, devo dire, l’inglese era meno sviluppato di quello dei bambini monolingui. Abbiamo deciso di non preoccuparci, hanno recuperato alla grande molto velocemente e non hanno mai avuto problemi con l’inglese. Ad un certo punto hanno anche cominciato a parlare inglese con mio marito, mentre con me parlano ancora solo italiano. E lo parlano molto bene: mio figlio piccolo vive a Roma adesso, dove sta imparando anche l’italiano burocratico. Insomma, i miei figli sono cresciuti bilingui, sono bilingue o multilingue, e sono contenti di esserlo.

Ha qualche messaggio per i genitori che stanno crescendo i loro figli come bilingui?

Prima di tutto, è importante essere flessibili e adattarsi a come si evolvono le situazioni: non c’è un solo modo giusto di crescere bambini bilingui. Poi, cercate di creare una comunità che parla la lingua di minoranza, per esporre i bambini a più persone che parlano quella lingua ma in modi diversi. Creare queste opportunità non è sempre facile in una lingua di minoranza, ma è importante e si può fare. E non scoraggiatevi se il bambino a volte non vuole più parlare la lingua di minoranza: succede molto spesso, perché i bambini non vogliono sentirsi diversi dagli altri. Quindi cercate di valorizzare la lingua di minoranza, di far sentire il bambino fortunato, e di fargli incontrare altre persone che parlano tale lingua.

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